E’ il primo Novembre quando molti fiumi tra Vicenza, Padova e Verona straripano: i danni principali
vengono fatti dalle esondazioni del Bacchiglione, Timonchio e Alpone, ai quali si aggiungono l’Astico,
Astichello, Trampigna e Livenza. In poche ora vengono sommerse campagne, aziende, case, uffici, intere
città: 121 sono in totale i comuni coinvolti.
4.500 gli sfollati, molti dei quali hanno fortunatamente trovato rifugio nelle case di amici e parenti, ma
hanno perso praticamente tutto. Le strade delle città sono ricoperte dal fango, i campi sembrano un
immenso lago marrone. Si contano i danni: ci sono cifre discordanti, Bertolaso parla di 500 milioni di euro,
mentre la Regione ne conta almeno un miliardo anche se è ancora in corso l’esatta quantificazione. Nel
frattempo la popolazione combatte per la sopravvivenza e visita, ove possibile, le proprie vecchie proprietà
trovandosi davanti a raccolti e campi completamente rovinati, stalle ed allevamenti trasformati ormai in
mattatoi a cielo aperto, aziende con macchinari distrutti, case ricoperte di melma. Vi sono rischi di malattie
quali tetano e leptospirosi contro le quali l’Ulss 6 ha già diffuso informazioni su come prevenirle e ha
mobilitato più persone possibile per intervenire in casi di emergenza.
La causa ufficiale dell’accaduto è di natura ambientale, come riconosciuto anche dal presidente Zaia:
sarebbero l’insieme di piogge abbondanti, unite allo scioglimento delle nevi e al vento di scirocco che
soffiava dal mare (impedendo il deflusso delle acque dei fiumi) ad aver ingrossato oltremodo i corsi
d’acqua. Tuttavia una nota della Società Italiana di Geologia Italiana comunica che gli avvenimenti climatici
di quei fatidici giorni erano normali per il periodo dell’anno in cui si sono verificati. Tra le cause “ufficiose”
che avrebbero contribuito ad aggravare l’alluvione vi sarebbero la cementificazione selvaggia ed
incontrollata del suolo veneto e la mancata manutenzione degli argini e dell’ambiente naturale. La prima ha
infatti contribuito a diminuire le capacità di assorbimento del terreno e avrebbe convogliato l’acqua
piovana nei fiumi più vicini, innalzandone il livello medio nei periodi più piovosi, mentre il secondo ha
fortemente indebolito gli argini dei corsi d’acqua che non hanno retto. Infine, tra le cause considerate
ufficiose, si trovano anche i lavori e le modifiche territoriali apportate per la costruzione della base militare
americana di Dal Molin, da sempre criticata specialmente da movimenti locali e accusata di compromettere
il normale corso del fiume Bacchiglione tanto da aver ricoperto un ruolo chiave durante l’alluvione:
l’innalzamento dell’argine vicino al quale sorge la base avrebbe infatti favorito l’esondazione dalla parte
opposta, dove si trovano molte più città e attività economiche.
Intanto la politica si mobilita per tentare di arginare al problema: Zaia chiede un “federalismo accelerato”
in modo che i soldi pagati dai contribuenti veneti aiutino maggiormente la ricostruzione, ma pretende allo
stesso tempo dallo Stato un aiuto immediato. Berlusconi promette 300 milioni di euro da integrare
mammano che la stime dei danni diventano più certe, mentre l’Abi promette il congelamento delle rate dei
mutui e stanzia 700 milioni di euro in favore delle aziende, anche se non ne specifica le condizioni. Il
Presidente del Consiglio incita inoltre l’unione Europea ad intervenire attivamente, proprio come nel caso
dei 500 milioni dell’Aquila, che ha risposto inviando Antonio Tajani a visionare la situazione veneta. Nel
frattempo vengono organizzati movimenti di volontari che aiutano gli alluvionati a salvare il salvabile e
vengono creati numeri per donare qualche euro agli sfollati.
Il modello di un Veneto all’avanguardia ed industrializzato si traduce oggi in un Veneto annegato nei suoi
stessi problemi, vittima della natura ma anche di coloro che lo dovrebbero gestire assicurandone la
prosperità, perché, se da una parte è vero che probabilmente era impossibile evitare che i fiumi
esondassero, dall’altra era possibile limitare i danni se il suolo pubblico fosse stato trattato col dovuto
riguardo. Il poco interesse da parte dell’Italia nelle tematiche ambientali ha generato lungo tutta la penisola
moltissimi casi di terremoti, alluvioni, crolli o frane, devastando la vita di migliaia e migliaia di persone,
molte delle quali ancora oggi vivono in tendopoli o in situazioni disumane, bisognose di aiuto, bisognose di
un tetto sotto il quale ripararsi, sicuro, solido, hanno bisogno di riavere la loro vita. Non dimentichiamoceli.
13/11/2010 – Marco Baroncini
giovedì 25 novembre 2010
25 NOVEMBRE: INCONTRO A VERONA CON VERA JARACH
Giovedì 25 Novembre, dalle ore 15.00 alle ore 17.00 la “Rete Degli Studenti Medi” di Verona organizza, presso l’aula magna della scuola “A. Messedaglia” un incontro con una donna che appartiene al movimento “dele Madres de Plaza de Mayo” (un’ associazione formata dalle madri dei “desaparecidos”, ossia i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare in Argentina tra il 1976 e il 1983): Vera Jarach. Vera è nata a Milano nel 1928, e dovette emigrare in Argentina dieci anni dopo. Lì ebbe una figlia, Franca, che scomparve all’età di 18 anni. Solo poco tempo fa Vera scoprì cosa realmente era successo alla figlia, e il suo intento è quello di portare la sua testimonianza, creando una memoria condivisa, affinché nessuno dimentichi, e certe cose non si possano più ripetere. E’ un incontro rivolto a insegnanti, studenti e genitori, perché non si è mai né troppo grandi, né troppo piccoli per conoscere quel che è accaduto nel mondo, e non si è mai né troppo grandi, né troppo piccoli per impegnarsi e lavorare di un mondo migliore.
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