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martedì 4 maggio 2010

Sulla mostra di Steve McCurry...


Stando a Perugia con la redazione del Mancino, ho avuto la possibilità di vedere una mostra alquanto particolare. Raramente recensisco mostre, e raramente le mostre di fotografia mi colpiscono al punto di volerle raccontare.
Ebbene questa esperienza è degna non solo di essere raccontata e commentata, ma ogni suo aspetto dovrebbe essere elaborato da più persone, per essere visto da ancor più punti di vista.
Dato che la mostra l'ho visitata con Francesca potrei per l'appunto partire dal suo punto di vista.
Secondo lei la prima impressione che si ha entrando in questa particolarissima mostra è quello di sentirsi nel mondo, nel suo centro, di essere contemporaneamente in tutti i posti ritratti. Lo ha definito l'essere partecipe di un “non-tempo” in un “non-luogo” creato della fissità delle immagini che seppur stando ferme scorrono, intorno a noi, di fronte, dietro, senza un attimo di tregua.
La particolarità di questa infatti è nel disporre i suoi soggetti. Steve McCurry ritrae situazioni e momenti colti principalmente nei paesi del terzo mondo, ma è soprattutto specializzato nei ritratti. Nella sua installazione lo spettatore è portato a camminare in mezzo a queste fotografie, anche di grandi dimensioni, sospese in ogni dove, stampate inoltre fronte-retro. Perciò, senza un percorso stabilito, noi ci troviamo a vagare in queste sequenze infinite di volti, di sguardi che ci seguono e ci fissano, attraversando luoghi lontani, colori mai visti e verità lontane dal mondo occidentale.
Questo, a detta di Francesca, è un etereo senso di immobilità, come un aldilà sospeso, un luogo in cui tutte le anime stazionano in attesa di ricominciare a muoversi e vivere, ancora ibernate. Ci si riesce a sentire come un'enorme entità singola, vicini alla natura intesa come l'essere umano nella sua forma più semplice, parte anch'essa dell'universo. Ci si sente partecipi di situazioni di mondi diversi, pur non riuscendo a capirle del tutto. Lo sguardo penetrante dei soggetti ritratti aiuta molto la formazione di questa emozione dentro di noi. Come ha scritto la curatrice della mostra molto spesso ci sentiamo noi l'opera esposta. Tutti ci osservano, come fossimo belve allo zoo, non siamo noi gli spettatori, ma loro, sguardi immobili. Ci giudicano con gli occhi stanchi e resi bruti da ciò che hanno vissuto e che vogliono noi comprendiamo ci fissano come a dirci "Ma non ti vergogni ad essere sano, ricco, occidentale ben vestito e nutrito, di fronte a tutto questo? Non provi almeno un minimo senso di colpa?".
In questo labirinto di immagini ci sembra di perderci in una foresta di storie: i giochi di luce, la disposizione dei quadri, tutto fa pensare ad alberi che estendono i loro rami l'uno verso l'altro fino ad intrecciarsi per formare un'unica realtà, che però non ha mai un solo punto di vista, ma è invece ricca di sfaccettature.
Infatti osservando l'esposizione da un angolo dela sala si vede un mondo vario, violento, e continuando a girare ecco che appiono e scompaiono i colori, arriva la gioia, la calma, e poi di nuovo la guerra.
L'ideazione stessa della mostra ci porta a pensare che è solo una questione di opinione, che tutto è relativo al punto di vista. Metaforicamente, ci prepare un viaggio verso la consapevolezza, un viaggio che da fermi non potremmo compiere: ci dice che l'unico modo per crescere è capire gli altri.
Personalmente non avevo mai visto nessun'altra mostra che riuscisse a far concorrere le opere, le foto, e l'ambiente a un obbiettivo comune in modo tanto competitivo. Eppure c'è un legame strettissimo tra ogni singolo frammento, ogni dettaglio, che ci trasmette lo spaesamento, lo sgomento, il senso di colpa.Soffocante.
Con Francesca ho condiviso ogni osservazione su questa esperienza, che ci ha fatto viaggiare in maniera surreale, come un lampo, nel lasso di tempo di quaranta minuti, attraverso città, deserti, zone di guerra, tra bambini, donne, uomini, lavoratori, prigionieri, morti e costanti sguardi fissi su di noi. Facendoci riflettere su cosa siamo.

Arianna Vietina
Padova

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